1092 km separano Livorno da Parigi. Da un lato una città toscana atipica, porto industriale e turistico, città ideale del Rinascimento, dall’altro una metropoli culturale europea, meta di artisti, letterati e musicisti. Due città lontane, sicuramente diverse, ma con molti punti in comune che creano un legame forte tra il porto toscano e la capitale francese. Secoli di Storia in cui, più volte, le vicende di Livourne e Paris si sono intrecciate, donando ai posteri capolavori inestimabili, personaggi indimenticabili e avvenimenti memorabili.
Corriamo indietro nel tempo. A cavallo tra Cinque e Seicento a Livorno viene edificata all’interno della nuova città, voluta dai Medici e ideata da Bernardo Buontalenti, la simmetrica piazza d’Armi (attuale piazza Grande) circondata da eleganti portici. La novità e la razionalità del progetto diviene immediatamente punto di ispirazione per alcune piazze europee (Covent Garden a Londra ne è l’esempio più eclatante). Tra queste le prime places royales barocche di Parigi, volute da Enrico IV. L’idea di piazza simmetrica e porticata realizzata a Livorno viene infatti presa in parte a modello per la place Dauphine (come afferma lo storico inglese Mark Girouard), inaugurata nel 1611, e, probabilmente, anche per la place Royale (1612, attuale place des Vosges).
Circa cento anni dopo, nel 1750, il letterato livornese Ranieri de’Calzabigi si trasferisce a Parigi per fuggire da un’accusa di veneficio in cui è coinvolto a Napoli. Nella capitale francese conosce e stringe amicizia con Giacomo Casanova che, oltre ad avviarlo all’arte amatoria, lo presenta al Re Sole. E’ qui, alla corte francese, che Ranieri introdurrà, in una sua versione perfezionata dal punto di vista matematico, il gioco del lotto di cui Luigi XIV si servirà per consolidare la casse del Regno.
Neanche mezzo secolo dopo è Parigi, questa volta, ad invadere Livorno, nel vero senso del termine. Le truppe napoleoniche infatti entrano in Toscana, prima nel 1796 e poi nel 1799, e a rischiare di farne le spese è il monumento a Ferdinando I de’Medici, meglio conosciuto come “I Quattro Mori” (nella foto centrale). I giacobini ne ordinano infatti l’abbattimento, poiché simbolo di tirannide. La statua in marmo viene deposta, così come i trofei barbareschi alla base di essa; i Mori stanno per essere “liberati” dalle catene bronzee quando la Storia cambia il proprio corso e le vittorie austro-russe mutano, in positivo, il corso degli avvenimenti. Il 23 luglio del 1799 “Ferdinando” viene rimesso sul suo piedistallo e i Francesi riescono a derubare Livorno soltanto dei “trofei di guerra” scolpiti dal maestro Pietro Tacca. Questo “pezzo” di storia livornese, oggi, è al Louvre, all’interno dei magazzini del museo più grande del mondo.
Saltiamo adesso di altri 100 anni. Paris, primi anni del Novecento. La città francese è la capitale dell’arte europea. Letterati, scrittori, pittori, scultori di tutto il mondo si trasferiscono a Montmartre, nel villaggio-quartiere sede, fino a pochi anni prima, del movimento impressionista. Tra questi anche molti artisti livornesi destinati a scrivere la storia dell’Arte del XX secolo: Oscar Ghiglia, Alfredo Muller, Leonetto Cappiello, Renato Natali e il genio Amedeo Modigliani.
Dedo arriva a Paris nel 1906 e con estro e caparbietà vi rimane fino al 24 gennaio 1920, giorno della sua precoce, sfortunata scomparsa. Incompreso, senza mai dimenticare la città natale, rivoluziona l’arte pittorica e scultorea rispettando la ferma decisione di non aderire a nessuna corrente contemporanea e diventando un simbolo della Parigi bohémienne.
Concludiamo questo viaggio tra Livorno e Parigi con un mito della musica d’oltralpe: Edith Piaf (Edith Giovanna Gassion). La chansonnière française nata nella capitale transalpina nel 1915 aveva infatti, in parte, origini labroniche. La madre Anita Maillard (in arte Line Marsa) era nata – casualmente – a Livorno il 4 agosto 1895 durante una tappa del circo in cui lavorava come cantante. E chissà se, per le strade di quella mitica Parigi novecentesca, la piccola Edith abbia mai incrociato Amedeo con cui, in comune, aveva qualcosa di più oltre al genio artistico che li ha resi due tra i più grandi personaggi del XX secolo.