Sarebbe pronto per la pensione da almeno una decina di anni ma poi capita sempre qualcosa che sconvolge i suoi piani. Oggi però, a 73 anni, ha decretato in maniera ufficiale il commiato alla terra, quella terra che nel ’77 lo rapì e lo spinse a trasferirsi da Bergamo, dove insegnava formazione manageriale, a Castagneto Carducci. In una sera di luna piena ha dato l’addio al Podere Grattamacco, dopo la scelta, anni prima, di lasciare l’azienda che produce l’omonimo e prestigioso vino bolgherese. Il suo saluto è giunto così, semplicemente, perché Pier Mario Meletti Cavallari, ad un certo punto, sente il bisogno di voltare pagina. Dalla sua casa, sul colle castagnetano, con vista mozzafiato, a monte e a mare, ha salutato il paese che l’aveva accolto e che con lui ha condiviso una straordinaria carriera.
Vi era arrivato quasi per caso. Poi qualcosa è successo: la scoperta dei vigneti e soprattutto del grande potenziale di essi. E’ considerato, a pieno titolo, uno dei più anziani scommettitori e poi vincitori nella coltivazione del bordolese in quest’angolo di Toscana. Negli anni ’90 i primi impianti di Grattamacco e anche i convegni della Doc Bolgheri, organizzati in occasione della manifestazione Castagneto a Tavola. Poi il boom del vino che ha richiamato l’interesse del mondo sulla piccola zona maremmana. “Devo dire che ho avuto una vocazione tardiva all’agricoltura – spiega Meletti Cavallari – avevo 34 anni. Ho affrontato periodi diversi, con cambiamenti radicali, ma non dettati da capriccio ma semplicemente perché reputavo si fosse concluso un ciclo. Dopo Grattamacco volevo andare in pensione, mio figlio Giorgio aveva scelto di dar vita ad un’azienda sua e così ho venduto. Poi è arrivata l’avventura all’isola d’Elba con la Tenuta delle Ripalte. Ero rilassato, volevo viaggiare, non lo avevo fatto fino a quel momento, perché la terra lega molto. Insomma volevo dedicarmi ad altro. Poi mi hanno chiamato, ho visto il posto e non ho resistito. Ho sviluppato la nuova azienda da zero, senza pensarci troppo”. Qui 5 ettari di vigneto sono dedicati alla coltivazione dell’Aleatico. Si produce anche grappa e ancora vermentino e l’Alicante. Gli ultimi arrivi sono il rosato, con una reinterpretazione dei più anziani vitigni di aleatico e una, quasi top secret, sperimentazione, limitatissima, di bollicine. “E’ un ambiente difficile – continua – ma la terra ha un grande potenziale, lontano ohimè da ogni supporto logistico. E pensare che nel 1870 c’erano 5000 ettari coltivati a vite e l’esportazione era elevatissima. Alcune situazioni ambientali sono veramente faticose ma i vini finora hanno dato ottimi risultati. Ora sono supportato da collaboratori validi e cerco nuovamente di andare in pensione”. Resta presidente del Consorzio Strade del vino e dell’olio della Costa degli Etruschi, una etichetta, quella della Costa etrusca, che però gli va stretta. “Quello che conta adesso – aggiunge – è puntare a comunicare un territorio ben più ampio e vorrei si promuovesse la Costa toscana che è conosciuta da tutti. Non si parla più solo di vino, ogni azienda è in grado di comunicare bene e da sola, poi c’è il Consorzio della Doc Bolgheri che funziona benissimo. Invece noi ci concentriamo sul turismo che è diventato un fatto internazionale. Non si deve più trasmettere i singoli ma i territori e per questo serve unione tra tutti questi piccoli comuni costieri e dell’entroterra”.
Tra le tante passioni che coltiva, da sempre, anche quella delle auto d’epoca, un hobby che ha maturato con l’associazione “Garage del tempo” Costa degli Etruschi. “Colpa di un cugino – racconta – che mi si presentò con un’Appia, ne rimasi così affascinato che la acquistai e piano piano entrai nel mondo dei collezionisti. Negli ultimi anni poi mi sono avvicinato alle auto centenarie e oltre, mi piaceva il fatto che essendo fatte principalmente di ferro e legno sono semplici da sistemare, in alcune non si apre nemmeno il cofano… Inoltre questa passione mi ha portato in contatto con tante persone di cultura, non solo a livello nazionale ma internazionale”.
Curioso e appassionato sperimentatore non fa mistero di amare questo, considerato dai molti, “magico” vitigno che è il cabernet sauvignon. Un patto rosso color vino quello che per sempre lo legherà al territorio bolgherese di cui resta padre protettore e maggior estimatore. “Non ho né rimpianti ne sogni nel cassetto – conclude – quando voglio mi reco ancora là, sotto il leccio di Grattamacco e resto lì per ore. Proprio in questi giorni ho stappato un Sassicaia 1995, resto sempre senza parole, è non è una questione di puro patriottismo”. A buon intenditore…