Cinzia Merli festeggia il ventennale del primo cabernet franc in purezza prodotto a Bolgheri
Tra poco saranno venti. Gli anni che separano una scommessa da una grande vittoria. Vent’anni trascorsi da quando Eugenio Campolmi tentò quel vitigno che oggi ha dato vita ad uno dei vini più quotati al mondo. Oggi che Cinzia Merli ha coronato il suo sogno e si prepara a festeggiare questo grande traguardo. Per lei che timida e schiva ha sfidato e poi conquistato il duro e un pò “maschilista”mondo vitivinicolo. Recentemente premiata dalla rivista Wine & Spirits per la qualità dei prodotti commercializzati nell’anno in corso, così una delle prime cantine di Bolgheri, Le Macchiole è entrata nelle top cento al mondo. Donna determinata e schiva, poche parole e fatti. Fatti incisivi come ce lo testimoniano tutti i risultati che negli ultimi anni sta discretamente sommando nel suo angolo di terra, dove ha sede l’azienda su una delle strade del vino più suggestive della Toscana. Tutti vini in purezza, tutte eccellenze. Etichette che il mondo ammira e apprezza: il primo proprio Paleo, cabernet franc in purezza, quel vitigno sperimentale, una intuizione di Mario Incisa della Rocchetta padre del Sassicaia preso in prestito dalla Francia. Un azzardo che ha stravolto la pro duzione vitivinicola toscana. E chi l’avrebbe mai detto? E mentre si prepara una grande festa per il 2012, in occasione del ventennale del Paleo (il primo cabernet franc in purezza prodotto a Bolgheri), chiediamo a Cinzia di presentarci il suo piccolo ma famoso mondo vitivinicolo. “Quando abbiamo iniziato – ci racconta la Merli – anche se mi fa sorridere l’espressione, perchè sembra che si faccia vino da un secolo, il mercato italiano era molto ridotto. Nell’arco del tempo, seppur ampliandoci, si è esteso fino ad un massimo del 30%. La nostra è una politica aziendale: essere presenti in minima parte ma in più paesi possibili; essere visibile per ottenere forza in termini rappresentativi. Sei l’azienda di nicchia e così ti devono riconoscere”.
Una crescita esponenziale e rapida quella dell’azienda che è evoluta fortemente nel giro di circa vent’anni. “Le Macchiole – continua – è sempre stata rappresentata da Eugenio Campolmi. E’ nata da un suo progetto, quando ha comprato c’ero, condividevo ma non ero parte attiva. Lui era tutto: forza, promotore, mente. Oggi sono convinta che questa azienda sia un riferimento per il territorio: è una percezione forte che mi giunge dal
confronto con gli altri. Abbiamo lavorato in maniera diversa ma in modo coerente, mantenendo uno stile ben definito. Senza Eugenio sono venute a mancare tante cose: in primis la persona di riferimento; tutti incarnavano l’azienda nella sua persona. Poi c’è stata la mia difficoltà a subentrargli, lui aveva un carisma così marcato. Il primo errore è stato proprio volerlo sostituire. Il risultato è stato un disastro. Due anni terribili. Non mi sono nemmeno posta il problema se continuare o no. L’ho fatto e basta. Lo sentivo, ho agito senza pensare. Dopo aver capito lo sbaglio le Macchiole ha preso un’altra strada. Stilisticamente è cambiata. Ora, dove prima c’era la sua impronta, e parlo di vini, adesso riscontro la mia. E ne sono soddisfatta.”
Un percorso difficile e irto di ostacoli soprattutto per una donna che ha dovuto prendere in mano un’azienda che si affacciava al periodo del più grande boom economico del vino e in contemporanea crescere due figli. Una fase in cui il fratello Massimo Merli (nella foto sopra con la maglietta azzurra), assieme all’enologo Luca D’Attoma, hanno giocato un ruolo importante. “Loro hanno avuto tanta pazienza. Mi ricordo di programmazioni di vendemmia assurde, mentre loro parlavano io gli volgevo le spalle e scrivevo a computer. Ero chiusa nel mio mondo. Sono stati in gamba a farmi uscire dal guscio. Oggi sono sempre un riferimento importante ma abbiamo formato una squadra importante e affiatata”.
Centoquarantamila bottiglie, non cifre record per una cantina “di nicchia” ma che ha contribuito assieme ai grandi nomi della Bolgheri Doc, come Sassicaia, Ornellaia, Antinori, Grattamacco, Michele Satta etc.. a portare il nome di questo vino eccellente all’attenzione mondiale. “Quale può essere il nostro futuro? Ampliamento? Nuovi numeri? No, d’ora in poi posso agire solo sul perfezionamento. Mi rendo conto che è roba da esaltati ma voglio puntare in questa direzione. Ricerca, sperimentazione. Stiamo lavorando sul cabernet franc, sulla vinificazione, comparando i vari cloni. Sono molto legata al cabernet franc, è un vitigno che sento mio. Nutro una certa responsabilità nei confronti della zona che ad un certo punto ha deciso di puntare su questa tipologia di vigneto, entrato a pieno regime come Bolgheri Doc… Le Macchiole oggi sono decentralizzate: prima Eugenio e ora non solo Cinzia ma la mia squadra che si è rivelata molto potente”.
Elia, il primogenito ventiduenne, ha seguito prematuramente le orme del padre e dopo l’istituto agrario è partito per l’esperienza vendemmia prima Nuova Zelanda e poi Francia, pronto a ereditare una poltrona d’orgoglio agricolo. “Ma anche il più piccolo, Mattia di 18 anni, credo arriverà qua, in ritardo ma affiancherà il fratello. In lui noto un grande palato, è molto selettivo”.
Punteggi stratosferici, premi internazionali, Oscar del vino 2009, ma manca qualcosa nella raccolta. “Ogni vittoria non avrebbe senso se non fosse condivisa da tutti i miei collaboratori, ma non cerco niente altro in particolare. Non lavoro per ambire ad un premio ma per ottenere risultati massimi. Gli obiettivi sono altri come fare un vino che ti soddisfi ogni anno, malgrado le difficoltà e la diversità delle varie vendemmie. Evoluzioni continue, spostare sempre i paletti degli obiettivi più avanti: una lezione che ho adottato da Eugenio. In termini caratteriali e di reazione infatti ho imparato molto più da lui che dalla mia famiglia, ci siamo legati che avevo sedici anni. In termini generali invece quello del mercato del vino sta attraversando un momento critico, mi guardo indietro e mi rendo conto che il livello qualitativo generale è aumentato ma c’è ancora da lavorare tanto. Questo territorio ha un grande valore che sommato a certe coincidenze e a tanta fortuna hanno dato vita alla realtà vitivinicola che oggi il mondo plaude, al miracolo Bolgheri”.
Cinzia e Le Macchiole, un binomio perfetto per il futuro? “D’impatto affermo che tra dieci anni vorrei essere in seconda linea, lasciare il passo sperando che resti una tradizione familiare. Senza imporre niente a nessuno, io ed Eugenio l’abbiamo scelto ed è giusto che la prossima scelta spetti agli altri…”.
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1995: La Strada del Vino Costa degli Etruschi era stata inaugurata da appena un anno. La Provincia di Livorno, allora ente promotore e gestore della Strada, partecipò con i produttori alla più grande fiera del vino italiano, il Vinitaly di Verona e volle creare un evento che facesse parlare dei vini livornesi. Furono incaricati del progetto Paolo Valdastri, ideatore della Strada e delegato AIS ed Ernesto Gentili, fiduciario Slow Food. I due, armati di grande coraggio, inventarono un azzardato confronto tra i vini di Bolgheri e quelli di Bordeaux, visto che le uve utilizzate nelle due zone erano le stesse. “Livorno contro Libourne, 7 grandi Bordeaux a confronto con altrettanti vini livornesi” era il titolo dell’evento, al quale dette l’imprimatur anche l’ente francese Sopexa, sicuro di una facile vittoria. L’annata selezionata era la 1992. Per la giuria furono chiamati alcuni famosi giornalisti del settore italiani ed anglosassoni, tutti al di fuori della Toscana per evitare favoritismi. E così i bolgheresi storici Sassicaia, Ornellaia, Guado al Tasso, Grattamacco, Le Macchiole, Satta e Cipriana si trovarono di fronte ad un agguerrito stuolo di châteaux bordolesi del calibro di Lynch-Bages, Troplong Mondot, Ducru-Beaucaillou, Léoville Las Cases, Cos D’Estournel. Come previsto si classificò al primo posto un francese, Ducru-Beaucaillou, un Saint-Julien del grande Jean-Eugène Borie, ma la grandissima e piacevole sorpresa fu il secondo posto del Paleo, il vino ideato dall’indimenticabile Eugenio Campolmi, il più bolgherese tra i produttori di Bolgheri ed anche uno dei più giovani. Potete immaginare la gioia del “ragazzo” per questo risultato. Ma fu grande anche lo stupore degli esperti e dei critici, perché i vini di Bolgheri si classificarono tutti in posizioni di assoluto rispetto, facendo per la prima volta capire quale sarebbe stato il valore di questo territorio. Paolo Valdastri