Chiappini
Chiappini

E’ arrivato nel ‘54 assieme alla famiglia da Ripatranzone, in provincia di Ascoli Piceno

ChiappiniDa un paesino in provincia di Ascoli Piceno, Ripatranzone per la precisione, dove si trova la via più stretta d’Italia e che conta circa 10.000 abitanti, Giovanni Chiappini, classe ‘51, è rimasto fino al ‘54 per poi trasferirsi a Castagneto Carducci. Da allora, da semplice agricoltore ha messo su un’azienda  vitivinicola che si sta affermando piano piano, perchè le cose che si costruiscono con passione e sudore sono sempre le migliori. E Giovanni è uno che parla poco e lavora, affiancato dalla figlia maggiore Martina; mentre Lisa, la minore, sta studiando all’università. Circa 50.000 le bottiglie che produce e distrubuisce – come dice lui – “a macchia di leopardo” nel mondo: Usa, Giapppone, Australia, Korea, ma soprattutto Germania, Belgio, Olanda, Danimarca e Svizzera.

Perchè Castagneto Carducci e quindi la campagna bolgherese? Nelle Marche, al tempo, la capacità di lavorare la terra era molto ridotta: mancavano i terreni mentre la manodopora era parecchia. I miei sapevano che gli Incisa e gli Antinori vendevano dei terreni. Allora era un passa parola, c’erano dei mediatori…

Cosa c’era allora? Uva, bestiame e grano erano le maggiori fonti. C’erano delle grandi zone di caccia con tante lepri e fagiani, un paradiso ambientale e tante belle cacciate: venivano gli amici inglesi dei Della Gherardesca e loro sparavano ai fagiani mentre le lepri le catturavano nei campi con le reti e le portavano in altri  posti per allevarle. Sono andati avanti fino agli anni Settanta.

 

Qual’è stato il primo terreno che ha comprato? Nel ‘54 appena arrivati acquistammo tra le Sondraie e le Ferruggini 500 ettari, eravamo una quarantina di soci: un assemblaggio di terreni incolti, ruderi dove c’erano case vecchie… Prima lavorammo il grano, poi coi pozzi scovammo l’acqua e quindi piantammo cavolfiori, finocchi, pomodori, e poi  conigli, vitelli…

Le cose andavano bene quindi… L’introduzione dell’ortaggio fu una novità vincente, venivano da fuori ad acquistarlo… L’ispettorato agrario arrivava da Firenze e Livorno, il nostro, quello firmato dai marchigiani fu un vero e proprio lancio agricolo…

Il rapporto coi proprietari è sempre stato buono? Quella con gli Incisa era una collaborazione costruttiva sul lavoro e di grande stima, rispetto e affetto su altri settori come la scuola, per esempio. L’Asilo a San Guido è stato una palestra d’educazione fondamentale per tre-quattro generazioni di ragazzi. Negli anni ‘50 c’era tanta povertà intorno, mi ricordo che a casa mia ci lavavamo nella pila fuori, il bagno non esisteva. E nella scuola di San Guido potevi fare la doccia ogni mercoledì, e ti permettevano altri lussi, rapportati al tempo, come la maestra di musica, la colonia a villa Le Sabine. Ci portavano in gita a Firenze, c’erano il dentista, il prete, ci venivano a prendere a casa con l’autobus. Facevamo le recite nel teatro e a Natale e Pasqua era una festa: la Marchesa Clarice ci riempiva di regali. Non c’erano differenze di appartenenza tra i bambini, eravamo tutti uguali, indipendentemente dalla famiglia d’origine… non c’era discriminazione nè di razza, nè tra figli di operai o nobili, siamo cresciuti con sani principi anche grazie a questi valori che la scuola con i suoi educatori ha saputo infondere e perseguire…

E’ rimasto male quando la scuola ha chiuso? Sì, si poteva evitare. Era un pregio da mantenere vivo solo per l’integrazione totale che la scuola permetteva, sono stato molto dispiaciuto… era un importante portabandiera per tutto il territorio…

Poi è passato dall’agricoltura al vino? Sì, dopo una parentesi di sette anni, dal ‘71 al ‘78, in cui ho lavorato alle acciaierie di Piombino. Era un momento di crisi e fu un’esperienza condivisa da molti sul territorio. Ma non era la mia strada e alla fine del ‘78, per Natale, mi licenziai, e acquistai il primo terreno tutto mio alle Grottine. E negli anni ‘80 aggiunsi altri dieci ettari. Ora sono 22 ettari sulla bolgherese. La prima vigna fu  nel ‘90, rossa.

Lei ha avuto anche una lunga esperienza politica, diciamo… Già in fabbrica, a Piombino, facevo parte del sindacato esecutivo e in comune, a Castagneto, sono stato prima consigliere e poi assessore all’agricoltura dal ‘75 all’80, un’intera legislatura, quella di Albano Querci.

Cosa è cambiato “a palazzo” da allora? E’ diminuito l’interesse al territorio e alle persone. Si percepisce più isolamento degli amministratori nei confronti dei problemi della gente. Ma è un processo temporale. Sono cambiati i tempi e l’interesse stesso alla politica. Prima l’assessore non percepiva nemmeno uno stipendio e si prodigava per ideale: era un volontariato politico per la cittadinanza. Adesso lo vedo più come un mestiere non un impegno civile e di fede. Anche se bisogna ammettere che i problemi adesso sono triplicati: ma prima era il sindaco a chiamare, a chiedere dove stavano i problemi e subito organizzava incontri. Albano diceva sempre: “il sindaco deve ascoltare tutti ma è solo nell’ufficiodel sindaco che si discutono i problemi”.

Avete programmi imminenti per il futuro? Stiamo realizzando la cantina, siamo una squadra ed è questa la nostra forza. Martina segue la comunicazione internazionale che è la disciplina in cui si è laureata, Lisa, la minore, studia architettura e mia moglie, Naide, gestisce la parte amministrativa. Il nostro obiettivo è quello di impegnarci nell’immagine dei nostri vini attraverso una ponderata azione di marketing.

Avete già qualche idea in questo senso? Organizzare degustazioni mirate, per un’azienda piccola come la nostra è la miglior forma promozionale, come mandare inviti e coinvolgere clienti potenziali. Sono cose che, a mio avviso, pagano più delle altre.

E l’offerta turistica? Cosa ne pensa? E’ necessario salvaguardare al massimo il territorio, il turismo di qualità c’è dove si rispettano e mantengono le tradizioni. Non si può trasformare tutto indistintamente. Se, alla lunga manca qualche comodità, pace. Non si deve rincorrere niente di surplus ma anzi potenziare i servizi base che mancano: taxi, bus, fermate dei treni, connessione internet che allo stato attuale è da paese sottosviluppato. Non rincorriamo per forza i grandi investimenti ma concentriamoci nella qualità del servizio, seppur di nicchia. Apriamo i locali fuori stagione, applichiamo una politica vigile sui prezzi…

E’ stato approvato il monovitigno all’interno della Doc Bolgheri quindi lei può beneficiare di questo nuovo disciplinare con i suoi vini? Sì, sono molto soddisfatto del risultato anche perchè come ho già affermato in altre occasioni, credo che si tratti principalmente di una scelta aziendale e quindi ognuno può agire come meglio crede. Ma auspico sempre la coesione all’interno del Consorzio anche perchè solo l’unione fa la vera forza …

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Articolo precedenteASPETTANDO SAPAIO 2048…
Articolo successivoCHE CI VUOI FARE, SIAMO ITALIANI
Toscana pura, giornalista nel Dna, ho una laurea in lettere moderne conseguita all’università di Firenze. Non ricordo bene quando ho iniziato a scrivere, ma ero parecchio bassa. I colori e i profumi della natura mi hanno sempre ispirato, la mia valigia è piena di parole… e mi concedo spesso licenze poetiche… Poi è arrivato il vino, da passione a professione. A braccetto con la predisposizione e pratica attiva per i viaggi e la cucina internazionale e ancor più italiana… assaggiare ed assaggiare… sempre. E’ giunto il momento di scriverne, con uno spirito critico attento. Da sommelier ho affinato certe tecniche di degustazione ma quello che conta nel vino,come nella vita, è l’anima. Basta scoprirla. E’ bello raccontare chi fa il vino e come lo fa. Perché il vino è un’inclinazione naturale…