La storia artistica e personale dell’artista Gianpaolo Talani non è più un segreto per nessuno. Parte lontano nel tempo ed è costellata di successi e soddisfazioni, legata al nostro territorio, fa parte del nostro patrimonio culturale. Per diventare immortali e avere una continuità nei secoli occorre lasciare qualcosa di tangibile che i posteri possano vedere e toccare con mano, qualcosa che sia memoria e insegnamento. Così è successo ai grandi artisti del passato e così sarà per quelli di oggi: Talani è già storicizzato. Il suo percorso venne definito da Vittorio Sgarbi come una storia “salata” , legata indissolubilmente al paesaggio affettivo dell’infanzia dell’artista: la spiaggia di San Vincenzo dove i venti salavano la pelle dei pescatori e dei bagnanti. In effetti le componenti della sua arte derivano e prendono spunto dal mare, dalla salsedine e dal vento, tutto il suo percorso cresce con i ricordi. Poesie, dipinti, affreschi e sculture sono un modo di trasferire dalla coscienza alla materia il suo stato emotivo legato al suo paese di origine, dal quale si distacca con nostalgia e il cui allontanamento struggente, che potrebbe sembrare un addio, rappresenta invece un nuovo inizio, una nuova opportunità da afferrare al volo.
Nel mondo artistico contemporaneo internazionale l’autenticità di un artista laico come Talani stupisce per la fiducia che egli pone nell’essere umano, che riesce a crescere attraverso l’esperienza e l’ironia. Anime, partenze e valige rosse sono la metafora dell’uomo che si muove nel mondo nonostante la sofferenza del distacco. E’ grazie alla sua filosofia di vita che è cresciuto come artista e come uomo, riuscendo oggi a rappresentare, meglio di altri, la difficoltà dell’uomo moderno di trovare un senso all’esistenza umana.
Forse per questo l’artista, famoso in tutto il mondo, è divenuto il simbolo del “Viaggiatore d’Europa” che lo accomuna, per esempio, alla città di Berlino che ha scelto una sua opera per festeggiare il 25° anniversario della caduta del muro. Una scelta che paventa un atto di rispetto nei confronti del miracoloso patrimonio storico culturale che ci rende unici al mondo.
In questo ultimo periodo Talani è stato ospite della cittadina tedesca che lo ha accolto con grande ammirazione, la scultura bronzea de “L’Uomo con la Valigia” sarà posizionata in WashingtonPlatz e inaugurata tra poco.
Così il Pollicino Talani ha segnato il suo percorso lasciando briciole d’arte ad indicare la strada che fotografa i suoi anni di carriera. Ma le novità del nuovo anno non sono finite, proprio in questi giorni sui quotidiani è uscita una diatriba sull’affresco “Partenze”di Santa Maria Novella a Firenze. Il Museo di Arte Moderna del ‘900 vorrebbe che l’opera fosse inserita all’interno del museo, storicizzando così l’artista in vita: sarebbe un grandissimo prestigio e un grande traguardo raggiunto dal pittore. Ma Vittorio Sgarbi, che ha fortemente voluto il dipinto, sembrerebbe contrario allo spostamento dell’affresco, vorrebbe che restasse all’interno della Stazione di Firenze nonostante, come luogo, non sia molto salubre per l’opera.
Sono lontani i tempi di quando, giovane studente con la testa piena di sogni, lasciò San Vincenzo per Firenze dove si sarebbe laureato all’Accademia delle Belle Arti. Oggi Firenze rende omaggio al più maturo “ragazzo” con la valigia: sogni e speranze sono infatti diventate realtà.
C’è ancora grandissimo interesse attorno a lei dopo il Giglio, Venezia e Berlino?
Si, ero a Firenze quando, dando un’occhiata ad un quotidiano, ho letto un articolo che parlava di me per l’affresco “Partenze”.Vittorio Sgarbi, come al solito, ha detto la sua è tipico del suo modo di agire da “cavaliere”, senza macchia e paura, visto che lui è stato uno dei primi a crederci e a volerlo lì. Personalmente non posso che essere felice di essere inserito nel Museo di Storia Moderna del ‘900: essere storicizzato da vivo non è da tutti!
Oggi è riconosciuto come uno dei più grandi artisti italiani, la conferma è arrivata anche dalla Germania, molto restìa a conferirci dei meriti se non quelli artistici, che cosa ci racconta della sua storia “salata”, lei che è l’autore de “Il Marinaio” simbolo del suo paese ?
La mia storia non poteva che essere così. Mare, vela, vento, memoria sono le protagoniste della mia vita sulla spiaggia di San Vincenzo, un paese giovane che ha soltanto 60 anni di storia e dove il punto di aggregazione è sempre stato il mare. Era un paese in bianco e nero dove noi ragazzi come colore avevamo la speranza. San Vincenzo era un paese che si stava “aspettando”, sentivamo che nel resto del mondo qualcosa cambiava ma noi non ne eravamo artefici. Noi ragazzi avevamo la musica, le ragazze e in estate il mare. Quelle erano le nostre passioni. Uniti, ci ritrovavamo nella piazza della Chimera e ognuno esprimeva le proprie sensazioni, eravamo legati alla natura e riuscivamo ad immaginare tutto ciò che oggi appare scontato. C’era molta solidarietà, questo ci aiutava a superare i momenti difficili tipici degli adolescenti, mancava tutto ciò che può essere definito tecnologico. Poi io, come molti altri, lasciai il paese e andai a vivere a Firenze. Ricordo ancora l’emozione di raggiungere una vera città. Con molte paure e la nostalgia di casa e della famiglia ma la voglia di andare oltre superava qualsiasi cosa. Tornavo spesso a casa, non era facile stare lontano dal mare. La sera lo cercavo nelle viuzze di Firenze cercando di scorgerlo o di sentirne il rumore ma non ci riuscivo e così lo ricreavo nei miei dipinti.
Oggi grazie alla tecnologia i giovani possono viaggiare dalle proprie stanze, secondo lei è positivo?
Non credo, oggi i giovani vivono nelle loro “fortezze della solitudine” che sono legate alla rete. Non credo nell’amicizia di Facebook ma nei rapporti umani tra esseri pensanti e soprattutto credo negli occhi di chi ho davanti. Noi avevamo i libri e la musica per “viaggiare”. La mia generazione poi, anche se forse meno informata, era più libera, meno influenzata dai media e anche più educata e corretta, c’era lealtà e sincerità. I nostri genitori erano più istintivi e semplici e ci raccomandavano sempre l’onestà e il rispetto di noi stessi e degli altri. Trovo che oggi i giovani vivano troppo in balìa di loro stessi, abbandonati dai genitori, spesso presi dalle loro occupazioni, dando troppa importanza all’apparire rispetto all’essere. Il protagonismo infetta i giovani e li rende tristi,vuoti dentro, la competizione finisce per isolarli e la tecnologia, che potrebbe aiutarli, fa loro del male se non è ben usata.
San Vincenzo come le sembra cambiato negli anni?
Secondo me il paese è cambiato in peggio, specialmente negli ultimi dieci anni. Dagli anni ‘60 il paese era in via di sviluppo nell’ambito turistico e molto conosciuto, in pochi anni è riuscito a costruirsi una reputazione niente male. Ci aspettavamo molto dal turismo ma forse ,dopo un iniziale progresso, ci siamo fermati. Penso che i sanvincenzini non amino se stessi e così non amano il paese, pensavano di “spremerlo” il più possibile ma non è così che si fa turismo, sono i rapporti umani che fanno crescere l’economia. Il turismo aggressivo non porta a niente, forse ci sono troppi “bottegai” e pochi professionisti e ognuno di noi è colpevole della crisi che ci attanaglia. Non dobbiamo stare in casa a spiare il mondo dalle tendine, dobbiamo invece scendere in piazza e comunicare, essere uniti, creare un “consorzio”umano per poterci risollevare. Quando ero giovane c’era più comunicazione, più affetto tra paesani, oggi ognuno si basta e si avanza, non ha bisogno di nessun’altro. Anche il volontariato è andato scemando facendo perdere le nostre tradizioni come quella del Carnevale.
A che cosa è dovuto il peggioramento?
Al nostro “babbo” che io identifico con l’amministrazione comunale e con lo Stato, non hanno saputo fare il “buon padre di famiglia” facendo prevalere le esigenze partitiche e gli interessi personali a quelli dei cittadini. Hanno voluto mantenere il potere per autoalimentarsi e non per sostenere ed aiutare i sanvincenzini. Che, a loro volta, hanno sbagliato smettendo di darsi da fare, si sono immobilizzati creando un decupito che ha distrutto l’economia, non c’è stato il rinnovamento che un paese turistico dovrebbe avere per emergere dalla “marea” di bei paesi sul territorio. Ma questa situazione non è solo del mio paese ma dell’Italia intera, è il male del secolo. L’egoismo e il denaro che prevalgono sulla morale e il bene comune.
Qual’è il simbolo più evidente dell’immobilismo di San Vincenzo?
Sicuramente il Palazzo Comunale, antica residenza estiva dei Conti Della Gherardesca, che è un po’ la casa di tutti i cittadini.Oggi è in uno stato di abbandono che evidenzia l’incuranza e il degrado del nostro paese. Non fa bene all’immagine, ci racconta una storia di disgregazione, menefreghismo ed isolamento. Nessuno forse capisce che lo Stato siamo noi, il Comune siamo noi anche se ne parliamo come se nessuno ne facesse parte.
Bisognerebbe tornare indietro quindi?
Dopo la guera c’era da ricostruire, c’era bisogno di tutti e tutti si impegnavano a migliorare il paese. C’erano anche meno tasse, meno burocrazia, meno vincoli. Oggi noi dovremmo fortificare quello che siamo riusciti a costruire nel passato. Dobbiamo tornare a sognare, a sperare, ma senza l’unione non si può fare niente. Il Comune è stato creato dai nostri nonni e dai nostri genitori per avere una chance in più, per evolversi, per affrontare quel cambiamento economico e culturale del dopoguerra che avrebbe dato a tutti un’opportunità. Oggi lo Stato sta aggredendo quello che abbiamo fatto in passato, le tasse e le leggi spesso ingiuste ci hanno portato alla crisi ma sono sicuro che reagendo potremmo uscirne. Spesso quando rientro dopo un viaggio di lavoro mi domando quali sogni coltivi questo paese, che ambizioni abbia e che cosa vuol fare del suo futuro. Spero di trovare presto una risposta .
Nonostante tutto lei continua a vivere qui dove è nato e cresciuto, anche se il suo lavoro la porta lontano, in giro per il mondo?
Non lascerò mai San Vincenzo, è la mia radice, la mia parte certa, mi ricorda chi sono e dove stanno i miei affetti. Qui i miei genitori si sono amati e hanno costruito la nostra famiglia. Ho sempre voluto che anche la mia famiglia vivesse qui. San Vincenzo è la mia ancora di salvezza e qui ritrovo ogni volta me stesso. Il nostro percorso di vita ha una partenza ma anche un ritorno.
Giuliana Valisneri Vicedomini Della Torre (foto di Rodolfo Tagliaferri)