di CHIARA CASTALDI

Fisico minuto, voce sottile, modi garbati; dietro a questa immagine di mitezza si nascondono una mente vivace e una volontà di ferro. Quest’uomo, che sembra uno scricciolo, è in realtà un gigante di volontà e determinazione, capace di sfidare interessi di milioni di euro legati al traffico di falsi di grandi autori, con la convinzione di chi ne conosce lo stile in maniera intima, come fossero vecchi compagni di banco.
Se non l’avete ancora capito, stiamo parlando di Carlo Pepi, il critico che ha svelato la beffa delle teste di Modigliani e fatto chiudere diverse mostre denunciandone i falsi; la più recente, quella di Palazzo Ducale a Genova.
Nonostante l’età – 81 anni – ha lo spirito di un ragazzino, lo sguardo rivolto al panorama dell’innovazione e l’orecchio attento a chi ha qualcosa di nuovo da dire.
Lo abbiamo incontrato a Castiglioncello dove da anni trascorre le estati, anche se, in linea con il suo essere controcorrente, ha casa a Rosignano «così posso vedere meglio il panorama di Castiglioncello – dice – con l’ambientazione dei quadri dei Macchiaioli». Oltre ad essere conosciuto come uno dei maggiori esperti di Modigliani nel mondo, se non il maggiore, Pepi è anche un grande collezionista ed estimatore dei pittori della Macchia, che nella seconda metà dell’Ottocento misero radici a Castiglioncello sotto l’ala protettrice di Diego Martelli.
A suo parere sono fra gli artisti più sottovalutati dell’arte moderna, addirittura di gran lunga superiori ai più famosi Impressionisti.


La particolarità delle collezioni di Pepi è l’enorme quantità di disegni preparatori. Un fatto dettato in parte da un interesse innato ad andare alla radice delle cose e, in parte, dovuto a esigenze economiche, soprattutto agli inizi della sua attività di collezionista. Lo sguardo bramoso della passione viscerale per l’arte, su quegli schizzi, gli ha fornito una conoscenza intima degli artisti collezionati, che gli ha conferito una profonda sicurezza nel riconoscere un autentico da una falso e viceversa.
La passione per l’arte insieme alla sete di conoscenza, sono attitudini che Pepi possiede fin da bambino, benché nella vita, per mantenersi, abbia fatto altro. Già, perché il collezionista di Crespina, che dispensa consulenze in tutto il mondo e manda in cantina mostre blasonate, ha fatto per cinquant’anni il geometra e il consulente tributario e aziendale.
Lui si definisce il «Don Chisciotte dell’arte». Di certo, ha un grinta da leone e un carattere scritto nel dna: testardo come un sardo e irriverente come un toscano.
«Sono nato in Sardegna – racconta – da madre sarda e padre toscano, in una località vicino a Nuoro, nella Barbagia. Quando avevo due anni i miei genitori decisero di trasferirsi in Toscana, nella zona del monte Amiata. Poi, quando ero giovanotto i miei si trasferirono a Crespina, in provincia di Pisa, dove vivo ancora oggi».
Come è iniziato il suo interesse per l’arte?
Ero in prima elementare, rimasi folgorato da un quadro di Van Gogh, “Campo di grano con volo di corvi”; ritagliai l’immagine dal libro. Ricordo che la osservavo minuziosamente, segno per segno, ne ero affascinato. Mi interessavano anche ad altri generi. Per esempio, mi piacevano molto le madonne senesi, molto frequenti nelle chiese in Maremma. In prima media conobbi un amichetto col quale condividevo la passione per l’arte. Mentre gli altri giocavano a pallone noi studiavamo le opere d’arte.
Dopo che percorso ha intrapreso?
Quando con i miei ci trasferimmo a Crespina io dovevo scegliere le scuole superiori. Eravamo nel Dopoguerra; mio padre mi consigliò di iscrivermi all’istituto per geometri, perché ci sarebbe stato da ricostruire e pensò che sarebbe stato un percorso di studi che avrebbe portato a un lavoro sicuro.
Nel frattempo ha continuato a interessarsi di arte?
Certo, la curiosità mi ha sempre guidato. Mi piaceva molto parlare con le persone anziane, perché sono custodi di memorie che altrimenti andrebbero perdute. Dai loro racconti scoprii che a Crespina, grazie alla presenza di notabili facoltosi che ospitavano artisti nelle loro residenze, fin dal Settecento c’era stata una massiccia presenza di pittori, fra i quali anche alcuni Macchiaioli e Post-Macchiaioli. Il periodo della mia giovinezza era l’epoca in cui le campagne venivano abbandonate, si andava a lavorare in fabbrica, in particolare, in quella zona, alla Piaggio; io avevo intuito che nel paesaggio, nella natura, nel patrimonio culturale di quella zona si nascondeva un potenziale straordinario da sviluppare, anche in senso turistico. Creai un giornalino in cui scrivevo queste storie del passato, che io stesso distribuivo in paese.
Dopo le superiori cosa fece?
Mi sarebbe piaciuto fare giurisprudenza, mi ha sempre interessato conoscere le leggi, ma non potei iscrivermi perché all’epoca era consentito solo a chi proveniva dal liceo. Mi iscrissi a economia, una delle poche facoltà alle quali si poteva accedere “da geometri”. Dopo la laurea, ampliai l’attività dello studio di geometra, che nel frattempo avevo aperto, e l’impresa divenne tecnico-commerciale.
E sul fronte dell’arte?
Intorno ai venti anni cominciai a rendermi conto che i tomi universitari e la critica ufficiale ignoravano alcuni artisti e alcune pagine dell’arte fondamentali. A quei tempi andava di moda l’Impressionismo; ma quando scoprii i Macchiaioli mi resi conto che erano più rivoluzionari, più innovativi degli Impressionisti, perché andavano all’essenza; il passo successivo, rispetto alla loro arte, è l’astrazione. Ciononostante erano considerati marginalmente o addirittura non menzionati. Lo trovavo scandaloso.
Come è stato l’incontro con l’arte di Modigliani?
Sfogliando i libri d’arte, mi colpì il suo stile particolarissimo, unico, col quale non abbandonava il vero, ma riusciva a fare un vero solo suo.
I suoi preferiti si concentrano nella zona livornese….
Non solo, ma è vero che a Livorno ci sono stati grandi innovatori. Il manifesto dell’Eaismo, il primo manifesto sull’arte nell’epoca della bomba atomica, promosso da innovatori del Dopoguerra, fu redatto a Livorno, nel 1948, cinque anni prima di quello di Milano. Anche negli anni successivi, Livorno, fu caratterizzata da particolare fervore nel mondo dell’arte, con il “Movimento Atoma”, che rifletteva sull’alienazione causata dalle catene di montaggio e dalla modernità in generale.
Chi sono i suoi artisti preferiti?
Van Gogh, Fattori, Lega e i Macchiaioli in genere, Modigliani, Malevich e tutti i grandi innovatori del Novecento. Amo i promotori del nuovo, quelli che sono andati alla ricerca dell’essenzialità. Quando la produzione artistica d’avanguardia arrivò a proporre come opera d’arte una tela bianca, pensai che più avanti non si poteva andare e, invece, arrivò Lucio Fontana e squarciò quella tela, andando oltre lo spazialismo. Il vero artista è un innovatore. Fattori quando disse, “siate voi stessi, l’epoca del vero verrà superata”, aveva preceduto Kandinsky. Anche per questo nella mia collezione posseggo tantissimi disegni: mi piace studiare l’opera d’arte da quando nasce, conoscerne le origini, l’essenza.
Lei ha una collezione smisurata di opere d’arte. Come è riuscito a crearla?
All’inizio cercando di fare acquisti con minima spesa e massimo valore. Ho acquistato molte opere di artisti emergenti che in seguito sono esplosi, come: Castellani, Fontana, Bonalumi, Scheggi. Ci vuole un po’ di follia nel collezionismo. In certi momenti mi sono anche indebitato. Andavo alle aste a Roma o Milano. Partivo la sera alle sette, dopo aver chiuso lo studio e alle otto del giorno seguente ero in ufficio. Da qualche anno ho cominciato a vendere parte delle mie collezioni, soprattutto per i miei eredi, per non lasciare sulle loro spalle le spese delle tasse sui beni artistici.
Sempre più spesso si sente parlare di mostre con falsi? È una questione di interessi o di ignoranza?
Entrambe le cose. La critica è assente. Molti dei critici più famosi non hanno capacità e conoscenze adeguate. L’interesse economico fa il resto. Io sono andato in tasca ai soldi – dice con un’espressione tipicamente toscana -. Molto spesso ho fatto consulenze senza chiedere soldi, ho vissuto di soddisfazioni. A volte mi hanno anche offerto molto denaro per autenticare quadri non originali: mi sono sempre rifiutato. In seguito alla vicenda della beffa delle teste di Modigliani, un generale di Camp Derby, mi propose di essere ospitato al Pentagono; mi ha fatto molto piacere, ma non ci sono andato; mi è bastata la gratificazione dell’invito.