Un’azienda a conduzione familiare da quattro generazioni. Fornacelle nasce infatti alla fine dell’Ottocento, il nome si deve alla presenza di numerose ed antiche fornaci, i cui resti si trovano ancora sotto la cantina aziendale. Quindici ettari capitantati da Stefano Billi che nel 1998, anno in cui ha raccolto l’eredità familiare, ha anche piantato nuovi vigneti sviluppando la strada che oggi porta l’azienda ad essere tra le più rappresentative della Doc Bolgheri. Taciturno, molto dedito al lavoro e poco alla chiacchiera tipicamente toscana, Billi ha continuato l’iter familiare. Infatti oggi al suo fianco c’è la moglie Silvia Menicagli. Sei le etichette che producono: tre facenti parte dei classici bolgheresi, un vermentino (Zizzolo) e due rossi, base (Zizzolo) e superiore (Guarda Boschi). Mentre tre etichette nelle edizioni artistiche speciali: Foglio 38 (Igt Toscana Cabernet franc), Erminia (Igt Merlot) e Fornacelle (Igt bianco).

Partiamo dall’inizio. Ci raccontate la vostra storia, gli esordi, Bolgheri prima e oggi. Le conquiste?
Lavoriamo su questi terreni delle “Fornacelle” da 150 anni, da quattro generazioni. Il primo è stato mio bisnonno Giulio Batistoni, che alla fine dell’Ottocento ricevette una presella dai conti della Gherardesca, dopo di lui mio nonno Osvaldo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, iniziò a ingrandire la proprietà e acquisì un nuovo appezzamento. Allora, si trattava di una fattoria tradizionale con maiali, polli, conigli, viti, olivi, pescheto e ortaggi vari. Successivamente mia madre Marisa con mio padre Vincenzino e poi io stesso, abbiamo acquistato alcuni terreni confinanti e oggi la nostra azienda copre una superficie totale di circa 15 ettari di cui 8 sono impiantati a vigneto. Inoltre abbiamo un oliveto di oltre 1000 piante ed un pescheto di un ettaro.
Ad ogni generazione l’azienda ha subito trasformazioni, percorrendo il cammino dell’evoluzione della storia agraria del territorio: dalla mezzadria, alla ridistribuzione dei terreni, alle produzioni cerealicole, alle coltivazioni ortofrutticole specializzate e intensive. Quando il testimone della gestione è passato a me, a metà degli anni Novanta, eravamo nel periodo in cui era esploso il “fenomeno Sassicaia” e molti imprenditori italiani si stavano affacciando dalle nostre parti per comprare terreni. In quel periodo ci fu in famiglia una attenta riflessione su quale strada intraprendere. La decisione fu presto presa: riconvertire parte dell’azienda, reimpiantare i vigneti mirando alla nuova filosofia di produzione, puntando quindi sulla qualità. Abbiamo selezionato e abbinato terreni a varietà clonali. Nel 2001 quando è stata prodotta la nostra prima annata di Zizzolo rosso, eravamo tra le prime dieci aziende che producevano vino in bottiglia a Bolgheri. In questi anni abbiamo sempre mantenuto la nostra idea, di produrre vini, che rispecchiassero il nostro “terroir” aziendale, anche quando la moda prediligeva vini concentrati. Oggi produciamo circa 50.000 bottiglie all’anno, di cui il 95% di Bolgheri Doc.
Vendemmia 2015 in corso, a giochi quasi fatti, si parla di un’annata da ricordare…
La vendemmia 2015 si presenta come una delle annate migliori degli ultimi anni. In generale tutte le varietà hanno raggiunto un perfetto grado di maturazione. Il caldo estivo non ha influenzato in senso negativo l’andamento della vendemmia, come invece avvenne nel 2003, quando, in generale, i vigneti bolgheresi erano molto giovani e l’apparato radicale, che non era ancora esteso in profondità causò uno stress idrico importante. Quest’anno, con la maggior parte dei vigneti della zona in età adulta ciò non è avvenuto. La nostra vendemmia è iniziata il 7 settembre. Dopo le prime svinature l’impressione è che abbiamo di fronte un’annata in cui i vini saranno caratterizzati da una struttura importante ma anche da finezza ed eleganza, se si è saputo scegliere il momento della raccolta anche in funzione di un buon livello di acidità.


Etichette e arte, voi siete tra i primi che nel bolgherese avete lanciato questa tendenza? Ci raccontate com’è nata l’idea e come si è evoluta nel tempo?
Stavamo programmando di fare il nostro primo vino in purezza, un cabernet franc – spiega Silvia. Era l’anno 2004. Questo vino nasceva da un attento lavoro di selezione in vigna, dall’utilizzo di tecniche di vinificazione artigianali, come la vinificazione in barrique aperte con follature manuali, dalla scelta di barrique specifiche e particolari. Insomma da un lavoro non soltanto progettuale, ma soprattutto manuale. Questa idea di lavorare la materia prima di utilizzare le mani mi faceva venire in mente certi quadri di mio fratello, Franco Menicagli, dipinti con colori a olio su balle di iuta e poi intelaiati. Mostravano solchi di colore. Questo spessore, teso quasi a dare all’astrazione una tridimensionalità lo rendeva anche un prodotto “artigianale” oltre che pittorico. Era evidente il lavoro, la mano, dell’uomo. Più che l’idea di associare il vino all’arte era proprio questo aspetto della manualità, dell’artigianalità che avevo associato alla produzione del nostro Foglio38. Insieme abbiamo scelto alcune opere, che evidenziavano questo aspetto oltre che a rappresentare il nostro territorio. In primo tempo avevamo chiamato questa collezione, ( al cabernet franc si era aggiunto un bianco da uve sémillon e fiano) ”collezione artigianale”. Sono stati poi i nostri clienti a “chiederci quei vini con l’etichetta artistica” e quindi abbiamo cambiato il nome in collezione artistica. Ai primi due vini, nel 2008 si è aggiunto un merlot in purezza, dedicato a nostra figlia, la cui etichetta raffigura un’opera dell’artista Fabrizio Breschi, anche lui molto legato al territorio.
C’è ancora un grande interesse su Bolgheri, si avvicinano grandi imprenditori del vino. Cosa ne pensate? C’è ancora posto per tutti? O la proliferazione è un po’ eccessiva?
Il fatto che ci sia ancora un grande interesse per Bolgheri e’ cosa positiva, vuol dire che non è solo una moda ma che il marchio si sta consolidando per diventare un punto fermo di riferimento nel panorama enologico italiano. La nostra Doc è abbastanza recente e il suo successo poteva essere passeggero. Così non sembra perché tutte le aziende, grandi e piccole, hanno scelto di lavorare per produrre vini di qualità, questo è stato riconosciuto e viene apprezzato da un ampio spettro di consumatori, che li preferiscono spesso a quelli di altre denominazioni anche più antiche, ma dove c’è una difformità nell’offerta qualitativa e di prezzo. Se nuove aziende, con imprenditori illuminati sono interessati alla nostra denominazione, non per sfruttare il territorio e i produttori esistenti ma per condividerne la filosofia e contribuire, con la qualità Bolgheri, ad aumentarne il valore qualitativo e commerciale, ben vengano!
Qual è la uva che preferite e perché?
La varietà che ci ha dato maggiori soddisfazioni è il cabernet franc. Quando abbiamo piantato non avevamo idea di fare un vino in purezza, ma già dalle prime vinificazioni ci siamo resi conto che questa uva aveva una marcia in piu’ rispetto alle altre. Infatti, il vino che produce racchiude in se’ molte caratteristiche, quali struttura, freschezza, complessità olfattiva, sfaccettature aromatiche, eleganza, equilibrio, insomma un ventaglio di caratteristiche e sensazioni che, dalla nostra esperienza, si trovano raramente in altri vitigni. Così già dal 2004 abbiamo prodotto Foglio38, 100% Cabernet Franc. Oggi Bolgheri Superiore.
Quali sono, all’indomani del Vinitaly e di Expo, le prospettive concrete del mercato interno ed internazionale?
Vinitaly per una piccola azienda come la nostra è attualmente un appuntamento irrinunciabile, non tanto come fiera o come vetrina, ma soprattutto come luogo di incontro di partner italiani e internazionali già “fidelizzati”, o per approfondire un approccio commerciale già partito. In pochi giorni, infatti, si riescono a vedere e a far assaggiare le nuove annate alla maggior parte degli importatori, dei distributori e degli agenti e a discutere problematiche e strategie.
Expo invece è una grande vetrina globale e per il marchio Italia nel suo insieme, quindi avrà più un impatto generale che non individuale. Siamo stai in visita all’Expo e ritengo sia stato fatto un buon lavoro. Chiaramente in un’esposizione universale gli attori principali sono le grandi imprese. Credo comunque che l’Expo abbia giocato un ruolo importante nel comunicare e promuovere il mondo rurale nella sua complessità e varietà e nel valorizzare il lavoro agricolo che spesso non viene percepito dal consumatore nel prodotto finito, confezionato.
Come avete visto cambiare il territorio. Cosa si è perso e cosa acquisito?
Le modifiche più evidenti sono derivate dalla realizzazione dei vigneti che nella maggior parte dei casi hanno soppiantato le coltivazioni cerealicole e ortofrutticole intensive : o addirittura sono stati impiantati su terreni incolti. Comunque, non possiamo parlare di monocoltura o di invasione dei vigneti, che attualmente costituiscono meno del 10% della superficie del nostro Comune.
Infatti il nostro paesaggio rimane molto vario, sia per la sua felice e mossa conformazione geografica, che prevede la collina, la pianura e l’arenile, sia per una diversità di vegetazione, dalla macchia alla pineta, e di altre coltivazioni oltre alla vigna, come olivi, alberi da frutta, e poi verso il mare, cereali, girasoli, erba medica e da foraggio e microproduzioni specializzate.
In generale tutte le aziende oggi fanno maggior attenzione all’ambiente e alla conservazione del proprio patrimonio agricolo e utilizzano sempre più spesso prodotti ecosostenibili; attraverso il loro lavoro, inoltre, contribuiscono a mantenere un paesaggio che è meta di turismo non solo balneare.
Secondo voi sul turismo si può lavorare ancora e meglio, avete dei suggerimenti?
Si può sempre lavorare meglio o diversamente, essendo un’attività in divenire, perché cambiano le tipologie di turisti, la loro provenienza, cambia l’offerta. Ci sono le istituzioni, ci sono alcune strutture che operano sul territorio, a volte funzionano meglio a volte peggio. Credo che non si debba cercare una soluzione univoca, o esigere che alcune strutture risolvano i problemi del turismo per noi, anche se dobbiamo sempre stimolarle; credo che dovremmo lavorare sia collettivamente, che individualmente e laddove è possibile per condivisione di intenti, cercare delle sinergie. Nel nostro territorio ci sono innumerevoli proposte turistiche e tutte potrebbero essere migliorate o potenziate anche nella comunicazione operata dagli enti di riferimento. L’offerta turistica legata alle produzioni agroalimentari è molto richiesta e potrebbe essere uno dei volani, ma non l’unico, per destagionalizzare l’offerta. Lo diciamo da sempre. Però bisogna crederci e impegnarsi. Bisogna creare dei “veri eventi”, che attraggano anche fuori stagione i turisti. Per crearli bisogna essere sempre aggiornati sulle tendenze turistiche, andare e confrontarsi con professionisti nelle località italiane ed estere che hanno fatto del turismo la propria cultura e l’unica vera fonte di economia e benessere.
Progetti futuri?
In questi anni abbiamo lavorato per mettere a dimora le vigne, per creare la situazione migliore possibile nei campi. Quando abbiamo cominciato questo percorso produttivo di qualità avevamo due ettari e la cantina era stata concepita di conseguenza. Oggi, con otto ettari abbiamo chiaramente bisogno di più spazio, per questo, il nostro progetto prioritario adesso è costruire la nuova cantina, dimensionata per le produzioni che abbiamo raggiunto.