Ennio Aquilino, comandante dei vigili del fuoco a Grosseto. Fino alla fine per il recupero dei corpi.
Voleva costruire ponti e gallerie infatti ha studiato da ingegnere a poi si sa, ognuno nasce per qualcosa. E lui è nato per salvare vite. E’ Ennio Aquilino, comandante dei vigili di fuoco di Grossetto. Lui il 13 gennaio scorso è stato tra i primi, con i suoi uomini, a salire a bordo della Costa Concordia, per mettere in salvo i passeggeri. Ha seguito tutte le operazioni di recupero, dirigendo il gruppo con sangue freddo e determinazione. Con pochi altri esperti è sceso giù alla ricerche dei corpi. Un’esperienza che lo ha segnato nel profondo. “Non si può dimenticare il ritrovamento dei corpi dei bambini. E’ una delle cose peggiori che ti può capitare…”. Nella sua carriera ha fatto fronte a tutte le più grandi emergenze capitate nel paese negli ultimi vent’anni. Sempre sul campo perchè il dovere è quello di soccorere gli altri. Eppure non si sente un eroe.
Dove inizia la sua storia professionale e come è arrivato a Grosseto.
Sono figlio di un professore universitario, docente di Tecnica delle costruzioni e dopo qualche anno ho abbandonato lo studio professionale di famiglia per dedicarmi alla mia vera passione: il soccorso. Potrei dire di essere l’uomo delle emergenze, la mia storia da pompiere dal 1994 per 15 anni si è dipanata all’interno della Direzione centrale per l’Emergenza e il Soccorso Tecnico dove ho assunto incarichi e responsabilità crescenti ed ho avuto modo di partecipare a tutte le grandi emergenze che hanno interessato il nostro paese. Dall’alluvione del Piemonte, al terremoto Umbria-Marche, dall’emergenza Stromboli al terremoto di S.Giuliano, al lago effimero di Macugnaga, solo per citarne alcune.
Oggi sono il dirigente dei Vigili del Fuoco che vanta la maggiore partecipazione ad emergenze nazionali, oltre 30, tutte svolte sul campo. Con la promozione a dirigente il mio primo incarico è stato quello di coordinamento e gestione del servizio acquatico, portuale e sommozzatori nazionale che ho retto per 4 anni sviluppando nuove tecniche quali: la speleo subacquea, l’uso dei caschetti da palombaro leggero, le manovre congiunte elicotteri- sommozzatori. Ho anche dato nuovo impulso alla ricerca subacquea integrata con l’introduzione di sistemi beacon, side scan sonar e trasponder che si sono rivelati utilissimi durante le fasi di ricerca nell’intorno della Costa Concordia.
Chi è un vigile del fuoco, prima di tutto?
Un uomo normale, un padre, un marito. Anzi proprio alle persone a noi più vicine andrebbe rivolto un grande e sincero ringraziamento per i sacrifici che quotidianamente affrontano per mandare avanti la famiglia, con le difficoltà di tutti i giorni e con il pensiero ad un padre e un marito lontano.
Nella sua carriera ne avrà viste e affrontate di tutti i colori. Quali sono i suoi ricordi più entusiasmanti e più spaventosi?
Sicuramente il ricordo più doloroso è quello legato al recupero dei bambini rimasti vittime nel crollo della scuola Jovine di S.Giuliano. Ricordo che insieme ai miei uomini lavoravamo nelle macerie piangendo. La stessa dolorosa sensazione l’ho purtroppo dovuta rivivere con il recupero del corpicino della piccola Dajana nel ventre della Concordia. Quando sono coinvolti i bambini il nostro lavoro è veramente duro. Uno dei ricordi più spaventosi è recente e legato all’alluvione di Albinia, quando la mia auto è stata travolta dalla furia delle acque dell’Albegna che era tracimato a monte, senza che nessuno lo sapesse. Mi sono salvato riuscendo ad uscire dal finestrino e issandomi su di un pino marittimo, di notte al buio e dovendo contare solo su me stesso.Nel vostro lavoro il gioco di squadra che posto occupa? E quello di comandante?
La squadra è tutto, è fiducia, è amicizia, è rispetto, senza la squadra non ci sarebbe il soccorso. Quello di comandante è un ruolo scomodo: è l’uomo delle decisioni, delle responsabilità. Spesso dalle nostre scelte dipende la vita dei nostri uomini e delle persone da soccorrere. Credo che sia un ruolo per persone molto fredde ed equilibrate.
Il caso Concordia. Le cronache di tutto il mondo ne hanno parlato. Come è stata vissuta al comando, a livello emozionale e fisico?
La storia del Comando di Grosseto e quella della Concordia si intersecano nella notte del 13 gennaio. Gli uomini del Comando, 11 quella notte, capitanati dal sottoscritto, sono gli unici soccorritori ad issarsi a bordo per prestare soccorso alle centinaia di persone rimaste intrappolate nei ponti che a causa dell’inclinazione dello scafo, oltre 70°, costituivano un muro insormontabile. Ho sempre pensato che quello che abbiamo fatto quella notte ricordi quanto fatto dai nostri colleghi americani l’undici settembre. La nave continuava a muoversi, il bulbo era totalmente emerso e la nostra sensazione costante era che la nave potesse inabissarsi da un momento all’altro trascinandoci con sè nei flutti. Non ci saremmo salvati. Tuttavia come sempre il senso del dovere ha prevalso sulla paura, poi Santa Barbara ci ha dato una mano.
Lei è stato tra i pochi prescelti per la fase più difficile, quella del ritrovamento dei corpi. Può raccontarci quello che è stato… il coinvolgimento…
Parliamo di una emergenza unica nel panorama mondiale. Mai era stato affrontato uno scenario così complesso. Basti dire che gli esperti fatti pervenire dalla Protezione civile da ogni angolo del mondo sono rimasti stupiti e ammirati del nostro lavoro. L’Ambasciatore francese, e ricordiamo che i francesi si ritengono i padri della subacquea, ci ha reso onori durante le celebrazioni della festa nazionale a palazzo Farnese e più volte io e i miei collaboratori siamo stati invitati in Francia, Inghilterra, Portogallo, Svezia per raccontare le procedure e le tecniche adottate. Una delle prove più dure ma anche esaltanti è stata il rapporto con i parenti delle vittime. Per la prima volta la gestione è stata assolutamente trasparente e quotidianamente rendicontavo circa le operazioni in corso, gli obiettivi operativi e i target attesi.
Quello che dirige è uno dei corpi fondamentali per la gestione dei casi di emergenza, e ogni volta rischiate la vita… come si decide e si accetta tutto questo?
Certamente non è un lavoro che si sceglie per la sicurezza di uno stipendio. I nostri, tra l’altro, a parità di qualifiche sono i più bassi del comparto sicurezza e forze armate. Credo che alla base di questa scelta di vita, che spesso ci tiene lontani dalle famiglie e da una vita “normale”, ci sia tanta passione. Ma per noi è il lavoro più bello del mondo. Restituire un bambino vivo alle braccia della mamma, strappandolo alle macerie, o alla furia di un incendio, ci ripaga da qualsiasi sacrificio.
Si sente una sorta di vocazione o ci si rafforza sul campo…
Alcuni entrano perché figli di pompieri e perché questo mestiere lo hanno sempre respirato, altri per trovare un lavoro, altri ancora per passione ma tutti inevitabilmente o si rafforzano sul campo o mollano.
Da piccolo quale era il suo sogno nel cassetto?
Costruire ponti e gallerie, ma a forza di emendamenti legislativi la professione di ingegnere in questo paese è stata massacrata.
Rifarebbe tutto?
Penso di sì ma chissà, le sliding doors sono un fenomeno affascinante. Se non avessi scelto questa strada mi sarebbe piaciuto fare l’avvocato penalista.
C’è stato un insegnamento a cui è particolarmente legato e che utilizza come una sorta di massima? E chi glielo ha impartito?
Essere sempre se stessi e non cedere ai compromessi, avere rispetto di tutti e non solo dei superiori, non avere paura di sporcarsi le mani. Sicuramente mio padre è la persona che mi ha impartito le lezioni di guida per la vita.
Come pensa si concluderà la storia del naufragio?
Penso che il peggio sia alle spalle, il parbuckling era veramente complesso. Per quanto riguarda le ricerche penso si sia fatto il massimo. Abbiamo recuperato 31 delle 32 vittime, in uno scenario infernale siamo riusciti ad operare senza registrare infortuni, grazie alla preparazione dei nostri uomini ed ai rigidi protocolli operativi che, quale coordinatore di tutte le ricerche, ho imposto fino dalla mattina del 14 gennaio.Se potesse cambiare qualcosa nell’organizzazione e nella gestione del corpo, da dove inizierebbe?
Oggi soffriamo di troppa burocrazia. Siamo il Corpo operativo per eccellenza nel soccorso e dobbiamo quindi avere un’organizzazione snella ed efficiente. Penso che andrebbero svuotati molti uffici ministeriali e data nuova e maggiore linfa al territorio perché il nostro è un servizio di prossimità dove il fattore tempo è quello che fa la differenza.
Un augurio al suo gruppo e a tutti quelli che ogni giorno scendono in campo per salvare la vita altrui…
Ai Vigili di cui mi onoro di fare parte dico una sola parola: grazie! L’augurio è che Santa Barbara ci guardi sempre con amorevole attenzione a noi e ai nostri cari.