Erano gli anni ‘50 quando Franco Ziliani incontrò Guido Berlucchi dando vita a quella che oggi è la fantastica Franciacorta. Considerato il pioniere, ammaliato da sempre dallo Champagne, di cui conosce tutto e su cui si è ispirato per costruire la sua fortuna, a 84 anni è pronto a rimettersi in gioco, ad aprirsi ad una nuova sfida, il rosso bolgherese. Enologo della vecchia scuola, quella di Alba, non ha mai perso l’interesse a sperimentare. E scansando il figlio oggi ha deciso di investire energia e tempo per Caccia al Piano, l’azienda che è convinto potrà raggiungere sempre più ottimi risultati. Intanto è ripartito dalla cantina, un progetto ambizioso e conclusosi recentemente. “Si tratta di una casa antica, – spiega – datata 1868, sembra fosse una casa di caccia. La cantina l’abbiamo realizzata in tre anni, perseguendo una soluzione costosa e un pò difficile. Uno scavo verticale, in sezione ristretta, per evitare di sconvolgere il territorio. Il terreno non sempre era favorevole ma finalmente siamo in chiusura. C’è ancora qualcosa da fare sull’entrata per rendere il più accessibile possibile l’azienda. Sono soddisfatto anche dell’immagine finale, l’ho voluta così. Finora abbiamo un po’ dormito ma arriva il momento in cui ti svegli”.
Quando ha scelto la Toscana e Bolgheri in particolare?
Non è stata la prima esperienza di vini rossi toscani. Nel ’72 avevo comprato un’azienda a Castellina in Chianti e l’ho tenuta per un po’ di anni, ma era difficile seguirla. Così abbiamo deciso di venderla alla fine del ’75. Qui ero in contatto con il mio amico, compagno di scuola, Giacomo Tachis e gli chiesi ospitalità per l’appoggio. Ma anche lui era in difficoltà, mi diceva: “ho le vasche fuori!”. Ma, diciamocelo, non è mai stato un generoso (ride, ndr). Sono stato ricevuto molto bene nel comune di Castagneto Carducci, l’amministrazione era pronta, noi invece eravamo in ritardo. Abbiamo acquistato Caccia al Piano nel novembre 2003, i primi anni sono stati molto difficili. Mi sono avvicinato tardi al rosso anche di queste zone, per inseguire la mia passione vera, le bollicine. Nei prossimi anni invece vorrei dedicarmi a Bolgheri, concentrandomi sulla qualità.
Ha mai pensato a far nascere una bolla a Bolgheri ?
Ride,ndr. Non si possono fare le bollicine dappertutto. Il clima è importante, anche nel nostro territorio è troppo caldo per esempio. Poi preferisco i vini che restano un po’ giovani. Da sempre innamorato dello champagne, anche lì, negli ultimi anni tutti hanno cercato di allungare i tempi di maturazione: credo che ne guadagnino in complesso aromatico ma ne perdono senz’altro in tipicità. Mi spiego meglio. Il sapore resta impresso, lo ricordo e quando lo assaggio lo devo individuare subito. Ed è prettamente legato alla natura psico-fisica del terreno. Il terreno non lo può scegliere l’uomo. E’ difficile fare un vino gradevole e tipico.
Come vede questo taglio bordolese che ha fatto tanta fortuna, in Toscana?
E’ il segno di Tachis, è riuscito a far credere ed investire in questa nuova esperienza. Siamo stati molto simili in questo, in due territori completamente diversi. C’è qualcosa che fa scattare in qualche uomo l’idea e poi parte il resto, che porta al meccanismo d’investimento e produzione, come in questo caso. Le potenzialità sono molto buone. Dallo scorso anno, in particolare, guardo bene da vicino la produzione e noto grande gradevolezza. Una caratteristica che è alla base dei miei vini, e che, alla lunga vince. Già negli ultimi quattro anni ho visto un grande miglioramento nella volontà di salvaguardare la qualità ma c’è ancora da fare.
Lei viene dal Piemonte, una terra blasonata per i vini…
Il Piemonte vanta il primato col Barolo, un primato irraggiungibile. Anche se credo che, alla fine, piaccia più agli stranieri che agli italiani.
E sulla promozione e l’accoglienza sul territorio cosa potrebbe suggerire?
E’ un bel posto ma va curato bene. Ci sono zone che andrebbero ripulite in altre bisognerebbe qualificare il turismo. Forse si tratta di una politica non del tutto coerente, non si riesce a far andare di pari passo due facce dello stesso territorio: l’economia trainante rappresentata dal vino e il turismo di massa.
Come si percepisce il vino italiano nel mondo, lei ha viaggiato molto?
Il problema è che ogni volta che vado in giro scopro vini nuovi, si tratta di un progresso inarrestabile. E poi soffriamo sempre un po’ la pressione della perfezione francese. La Francia ci ha messo centinaia di anni per raggiungere i vertici delle classifiche mondiali. Ci sono due o tre vini irraggiungibili. Nella mia classifica personale primo fra tutti svetta sempre lo champagne poi il Pinot nero fino ad arrivare al Bordeaux. I francesi sanno salvaguardare la vera quantità di consumo perché se si eccede nella produzione, i prezzi e l’immagine diminuiscono. L’errore sta nel farsi prendere la mano perchè finisce che decade tutto. Lei è un grande enologo com’è il rapporto con l’agronomo?
L’enologo vorrebbe che l’agronomo facesse operazioni solo per raggiungere la qualità massima e spesso si scontra con le sue convinzioni riguardo la cultura del vegetale in genere. Noi ci stiamo battendo, in Franciacorta, perché c’è un sistema contrario al buon senso. Abbiamo la limitazione della produzione sull’ettaro senza l’obbligo verso il produttore a mettere un certo numero di ceppi. Abbiamo coltivazioni a 10.000 piante per ettaro e facciamo la stessa quantità del nostro vicino che magari ha 5000 piante per ettaro: così lui lascia il doppio delle nostre gemme a frutto. La pianta vive di radici e superficie fogliare e produce in base a quello: dobbiamo tenerla armonicamente esposta. Se metto una pianta ogni 3 metri, rispetto a quella che metto ogni metro, ho più radici e contengo di più la produzione essendovi meno grappoli sull’albero. E questa è una grande polemica aperta. In Champagne sono tutti ad un metro, sono parecchi passi avanti rispetto a noi. Poi hanno un organismo unitario e ben definito, un Consorzio che norma, in questo sono molto superiori.
Qual è il vitigno che rende meglio secondo lei sul territorio?
Direi il Merlot al top e il Cabernet franc ma maturato bene.
Il futuro riserva qualche sorpresa?
Amo la grappa ma quella di un tempo non si trova più. Oggi ci sono grappe molto leggere. L’anno prossimo magari la faremo con molta attenzione alla maturazione e alla fase di distillazione. Così per divertimento, perché ormai è un liquore che non va più…
Tra dieci anni come vede Bolgheri?
Spero di poter parlare ancora della mia azienda e magari azzardare qualche parola in più, data dall’esperienza maturata in questo tempo. Credo che con un percorso logico, in fatto di applicazione delle norme, potremo crescere ancora tanto tutti.