Campiglia è, tra i borghi medievali dell’alta Maremma, il più antico. La sua storia è talmente vasta che non può stare racchiusa in un articolo e per questo cercheremo di ripercorrere, sommariamente, le tappe del suo processo storico, per capire come questo centro urbano della Bassa Val di Cornia, possa  essere divenuto il principale dal 1200 ai primi decenni del 1400, mantenendo questo ruolo anche nei secoli successivi alla nascita. Sicuramente il merito è da attribuire alla sua posizione geografica e fisica, alle culture precedenti a quella medievale, alla presenza dell’uomo, già dal paleolitico medio. Dal IX sec. a.c. le colline intorno a Campiglia erano abitate dai villanoviani e successivamente dagli etruschi che, come api laboriose, avevano organizzato un’attività estrattiva che aveva del moderno, sviluppando una cultura superiore, arricchita con gli scambi culturali di altre popolazioni venute dal mare. Isidoro Falchi, famoso medico amante dell’archeologia, scopritore di Vetulonia e Populonia, usava dire che l’uomo civile aveva scelto di vivere in queste zone “per la purezza del cielo, la ricchezza del suolo, il clima mite, l’abbondanza di acqua, per i filoni di marmo e i metalli, la vicinanza del mare, le acque sulfuree, che la natura aveva tutte racchiuse nella vallata del Cornia…”. La civiltà etrusca portò progresso, ricchezza e cultura, dopo di loro però iniziò il declino. La saggezza dei primi popoli fu devastata  dai nuovi conquistatori che non rispettarono ciò che avevano ereditato,  furono i discendenti dei Longobardi a dare nuova vita alla Val di Cornia.

Il paese di Campilia (oggi Campiglia) era posizionato a circa 200 metri sopra il livello del mare, sopra il Monte Calvi a mò di sella, con due gobbe distinte denominate Poggiame e Rocca. L’etimologia del nome scatenò la fantasia di molti studiosi ma oggi la più credibile sembra essere quella di Isidoro Falchi che la riferiva al latino, campus pilae o caput pilae, luogo con pozze d’acqua e fonti. Campiglia era in mano alla famiglia dei della Gherardesca, ciò è testimoniato da un documento datato 1004 nel quale il conte Gherardo II e la moglie Willa assegnarono il possesso di metà del castello al Monastero benedettino di Santa Maria di Serena, nel territorio volterrano vicino a Chiusdino (cit. “castello de Campilia medietate cum ecclesia et curte”). E’ probabile che gli altri rami della famiglia dei della Gherardesca siano stati generati proprio dal ramo campigliese che aveva dimora a Castagneto e Campilia  e di cui mantennero la signoria per tutto il periodo medievale.

In quel periodo l’abitato primitivo in mano alla signoria dei della Gherardesca inizia a trasformarsi: le mura divennero alte e imponenti a dimostrazione della sua importanza e della sua natura difensiva. Costruite con pietre squadrate di macigno e mattoni erano merlate alla ghibellina con feritoie da difesa, torrioni e contrafforti. Al di sotto delle mura il terreno ripido impediva ai nemici di assediare il castello, 5 porte chiudevano l’accesso al mastio centrale affiancato da una torre sontuosa abbattuta poi nel 1683. La lunga storia di questo paese sembra fermarsi tra il XI e il XII sec.d.C, non ci hanno lasciato tracce di documenti scritti. Secondo la teoria del Falchi ciò era dovuto al fatto che il paese in questi secoli, aveva goduto di un periodo di autonomia ed era in mano ai vassalli grazie a una legge promulgata dal sovrano tedesco Corrado il Salico che nel 1037, con “l’Edictum de beneficiis feudis”, spogliava i feudatari del diritto di rimuovere i vassali dal possesso di beni, le proprietà passavano di padre in figlio secondo la legge tedesca. Per  il Repetti (autore del Dizionario Geografico e Storico della Toscana) invece il feudo di Campiglia già nell’XI sec. era in mano alla Repubblica di Pisa e ciò lo testimonierebbe  un atto del 1139 nel quale il Conte Ildebrando donò all’arcivescovado di Pisa metà delle sue proprietà del castello di Campilia, Biserno, Vignale e San Lorenzo. Dalla metà del ‘200 sicuramente Campiglia fu in mano ai pisani che costruirono all’interno del borgo  edifici pubblici come il Palazzo Pretorio, sede della “capitania” e anche edifici ecclesiastici come la Chiesa di S Lorenzo. La comunità del feudo, in questo periodo, era esigua così come lo erano le risorse economiche che arrivavano più che altro dalla pastorizia. Il governo centrale non si curava del territorio e il potere era in mano al Capitano che aveva pieni poteri esigendo tasse senza occuparsi dell’economia del territorio. Le strade erano inesistenti, ad eccezione della via Emilia, anch’essa disastrata, gli abitanti erano cagionevoli di salute a causa della scarsa alimentazione, le paludi vicine erano incoltivabili e tutto andò peggiorando quando a Pisa le lotte intestine tra la famiglia Raspanti e Bergolini si estesero anche nell’alta Maremma.Nel 1371 la peste uccise i ¾ della popolazione portando miserie e distruzione dei raccolti. Non rimaneva niente dell’antico periodo d’oro etrusco, oltre l’agricoltura non esisteva altro, nè i commerci nè l’industria. Le cose non andarono meglio dopo l’arrivo dei fiorentini, l’11 febbraio 1406 Campiglia passò sotto il loro dominio, dopo che Pisa era stata sconfitta dai Visconti di Milano, divenendo un importante avamposto. Con la nuova dominazione le cose peggiorarono ulteriormente spingendo la popolazione alla rivolta. Inizialmente sembrava che i nuovi signori lasciassero autonomia al comune ma, lontani dal potere centrale, tutto era nelle mani del Capitano di Giustizia che aveva concentrate sulla sua persona tutte le cariche. Capo supremo delle truppe, della giustizia, giudice ed esecutore delle sentenze, supportato dal notaro e dal cancelliere di turno era un piccolo “sovrano”. La popolazione, sempre più stressata dalle tasse, dalla miseria e dalla fame, nel 1431 approfittò di un periodo di crisi della Repubblica di Firenze per ribellarsi e cacciare la guarnigione di soldati che proteggeva l’avamposto fiorentino. Il popolo si impossessò del castello e per 3 anni alcuni dominus presero la gestione del feudo. In quel periodo la Maremma e il Principato di Piombino furono prese di mira dal Re di Napoli Alfonso D’Aragona, egli temeva le truppe fiorentine situate nel castello di Campiglia (che erano rientrate dopo la rivolta), prima di attaccare Piombino avrebbe voluto sconfiggerle, nel 1447 attaccò più volte l’avamposto ma i cittadini dettero man forte ai soldati fiorentini e il Re di Napoli venne sconfitto.

Il valore dei campigliesi nella battaglia fu apprezzato dalla Repubblica che concesse loro privilegi di poco conto ma che non riuscirono a risollevarli dalla terribile decadenza. Nel 1525 un tentativo di bonifica nella zona di Caldana causò un ulteriore indebitamento al Comune che era già stato debilitato dalla peste. Le campagne erano infestate dalla malaria e l’agricoltura era ferma. Se in Germania, Francia e Inghilterra gli agricoltori avevano raggiunto una loro identità e anche una tutela, in Maremma il Governo centrale era lontano da tutto e da tutti, chi comandava non era in grado di dare una svolta e il contadino (uomo del conte) era rimasto fuori da ogni rinnovamento societario, non aveva terreni propri da coltivare e neppure diritti ai quali appellarsi. Non si riuscì neppure a pagare un medico che curasse gli appestati e il Comune dovette ricorrere a uno “speziale”. Nel frattempo anche il vescovo di Massa Marittima si fece vivo per un vecchio debito minacciando di scomunicare tutta la comunità se non fosse stato saldato. Nel 1556 Campiglia passò in mano alla famiglia dei Medici. Cosimo I sembrò appassionarsi alla situazione della Maremma e fece un tentativo per incrementare l’industria estrattiva ripristinando una cava e le miniere di piombo e argento. Per un breve periodo sembrò che una ripresa fosse possibile ma nel 1559 le cose peggiorarono notevolmente a causa della malaria e dell’arrivo di branchi di lupi famelici che aggredirono animali e uomini.Le campagne divennero impraticabili, si cercò di arginare il pericolo promettendo una ricompensa per ogni lupo ucciso e questo contribuì allo svuotamento delle casse del comune. Si tentò persino un incremento demografico con famiglie provenienti dal Friuli, dall’Istria e dalla zona del bresciano. La Maremma sembrava una terra maledetta da Dio e in Toscana si vociferava su questo fatto, nessuno voleva andare a viverci. Dante l’aveva citata come terra malsana, il Boccaccio ne parlò come luogo di lupi e fiere e il Buti come una macchia piena di serpi. Nel 1631 scoppiò un’epidemia di peste bubbonica che si portò via metà della popolazione su 646 persone ne morirono 316. La piccola comunità di Campiglia venne sconvolta da questa epidemia e nessun Capitano fu in grado di organizzare la situazione, scompiglio morte e distruzione misero la vallata in ginocchio. Ma le sventure non erano finite, nel 1651 ci fu un’invasione terribile di locuste che fino al 1776 devastarono qualsiasi cosa, campi,vigneti,boschi raccolti, frutta e pasture per gli animali. La popolazione fu costretta a mangiare animali morti ed erba, come ci raccontano gli storici del periodo. Nel frattempo la Toscana era passata in mano alla famiglia dei Lorena e la popolazione, stanca della situazione, nel 1776 invase la sala consiliare, i contadini inferociti costrinsero i consiglieri a scrivere per loro una richiesta al Granduca,  di avere del grano per poter sopravvivere. Il 17 giugno 1776, dopo aver inviato grano per semina e per farina, Leopoldo I dichiarò che, in mancanza di esso, i campigliesi avrebbero dovuto approvvigionarsene a Pisa purchè il Comune si organizzasse per trovare lavoro ai poveri, inoltre stabilì che il Comune diventasse proprietario di tutti i suoi territori libero da tutte le servitù medievali. Con il Granduca Leopoldo I ci fu un rinnovamento, egli amava questa zona e iniziò i lavori di bonifica,vennero ripristinate strade e costruite case coloniche per i contadini. Si estirparono la macchia e i rovi per dare inizio alle nuove colture della vite e dell’olivo che nella nostra zona erano quasi assenti, la pastorizia e l’industria estrattiva ripresero vigore. Nel territorio arrivarono molte innovazioni tecnologiche e politiche. La dominazione dei Lorena continuò fino agli inizi del 1800 quando Campiglia andò a far parte del Granducato di Toscana, nel 1860 si unì al Regno d’Italia compartimento di Pisa e soltanto nel 1925 passò alla provincia di Livorno.

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Toscana pura, giornalista nel Dna, ho una laurea in lettere moderne conseguita all’università di Firenze. Non ricordo bene quando ho iniziato a scrivere, ma ero parecchio bassa. I colori e i profumi della natura mi hanno sempre ispirato, la mia valigia è piena di parole… e mi concedo spesso licenze poetiche… Poi è arrivato il vino, da passione a professione. A braccetto con la predisposizione e pratica attiva per i viaggi e la cucina internazionale e ancor più italiana… assaggiare ed assaggiare… sempre. E’ giunto il momento di scriverne, con uno spirito critico attento. Da sommelier ho affinato certe tecniche di degustazione ma quello che conta nel vino,come nella vita, è l’anima. Basta scoprirla. E’ bello raccontare chi fa il vino e come lo fa. Perché il vino è un’inclinazione naturale…